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Una volta lanciato sul mercato, il serbatoio “Amico Gpl” si rivelò un vero e proprio successo e come tutti i successi, fu seguito da tentativi di imitazione. Da lì a poco fu dato inizio a una sperimentazione da parte dell’Ispesl. Leggiamo alcuni passaggi sul tema, tratti dal libro Ricomincio da 60.
IL RUOLO DELL’ISPESL NELLA SPERIMENTAZIONE E RICONDIZIONAMENTO
“In Italia venne così avviata una “sperimentazione” che consisteva nell’autorizzare l’installazione di una nuova tipologia di serbatoio che, in deroga alle regole esistenti, potesse essere interrato senza il presidio di sicurezza della camera in cemento armato e senza il contenitore in polietilene autoportante (quello appunto inventato dalla Walter Tosto). Non solo: venne infatti autorizzata anche la possibilità di riutilizzare serbatoi già usati attraverso la procedura di ricondizionamento. In questo modo in Italia si era arrivati a un punto critico. Per far capire quanto grave fosse la situazione voglio descrivere, sia pure in modo sintetico, i termini del problema. Nel nostro Paese vengono distribuite (e consumate) circa 1.683.000 tonnellate di Gpl all’anno (dati 2017 dell’Assogasliquidi, l’associazione confindustriale che raccoglie gran parte delle società di distribuzione di Gpl). Queste società concedono all’utente il serbatoio in comodato gratuito e in tal modo si garantiscono che il cliente – almeno per due anni – si rifornisca in via esclusiva dalla società proprietaria del serbatoio. Sta di fatto che le aziende distributrici di Gpl installano, da più di 15 anni, serbatoi ricondizionati: e attualmente ne risultano installati circa un milione. Si tratta di serbatoi originariamente progettati e realizzati per l’impiego “a vista” o “fuori terra” e che, a causa di successivi interventi di modifica, sono stati riadattati per l’utilizzo interrato. Le società, in tal modo, utilizzano e installano presso gli utenti finali serbatoi costruiti da oltre trent’anni mediante banali operazioni. Queste operazioni vengono purtroppo eseguite senza applicare le norme e/o le regole tecniche vigenti in Italia e in Europa. Quindi i relativi prodotti non possono avere la certificazione comunitaria. Sul serbatoio (così ricondizionato) rimane infatti la targhetta dell’originario costruttore sebbene il manufatto sia stato modificato. Il tutto senza alcuna nuova analisi del rischio che costituisce elemento imprescindibile per la sicurezza (la Direzione generale imprese dell’Unione europea ha chiarito che solo lo stretto rispetto delle norme comunitarie garantisce il serbatoio dal rischio di esplosione).
IL RICONDIZIONAMENTO DEI SERBATOI RISPETTA LE NORMATIVE CE?
Vale la pena ripeterlo, ma a seguito del ricondizionamento il manufatto conserva tutte le originarie caratteristiche costruttive sebbene siano state radicalmente mutate la destinazione e la modalità di utilizzo. Fatto ancor più grave e preoccupante è che l’utente finale – quello che acquista il Gpl – non viene informato sulle caratteristiche del serbatoio che viene installato presso la sua proprietà. Tengo a ribadirlo e non mi stancherò mai di farlo: l’attività di ricondizionamento, quando viene così eseguita, non consente l’apposizione della certificazione CE. E tale gravissima carenza, lungi dal costituire una mera mancanza di carattere formale, appare sintomatica, oltre che di un inadempimento agli obblighi procedurali introdotti dalla normativa nazionale e comunitaria, di un problema di sicurezza sostanziale, in quanto solo l’applicazione congiunta di tutte le previsioni normative riferite a un prodotto consente di valutare in maniera esaustiva la conformità del medesimo ai requisiti di sicurezza richiesti. Quello che ho raccontato (forse con un po’ troppo tecnicismo) è il frutto di un vizio originario che sorge con l’avvento della “sperimentazione”. E adesso cerco di spiegare com’era andata. Siccome all’epoca (era il 1997) non potevano essere autorizzate tipologie di serbatoi come quelle appena descritte (parliamo dei serbatoi con rivestimento in resine epossidiche e con protezione catodica nonché dei serbatoi ricondizionati che usano questa tipologia di supporti) una serie di ministeri – su evidente sollecitazione dell’Ispesl – avviò l’ormai nota “sperimentazione”. Si disse, visto che non c’erano evidenze tecniche: “iniziamo a sperimentare per consentirne la commercializzazione e poi vedremo”.”